Formigoni e i cattolici in politica: è tempo di autocritica. Se non ora, quando?

Posted on venerdì 27 aprile 2012 by Lorenzo Lipparini in ,
Linkiesta
Peppino Caldarola, 26 Aprile 2012

Sta per uscire per i tipi di Editori Internazionali Riuniti una “biografia non autorizzata” di Roberto Formigoni scritta da Lorenzo Lipparini, dirigente radicale protagonista con Marco Cappato della battaglia sulle firme false che hanno sostenuto le liste del governatore della Lombardia. E’ una lettura esemplare sulla ascesa di un protagonista della politica italiana che forse sta vivendo il suo crepuscolo. Formigoni viene raccontato fin dai suoi primi passi lecchesi in comunione, il termine è quanto mai attuale, con la formazione di un raggruppamento cattolico che inizialmente vive la sua fede in stretta religiosità e come testimonianza per poi trasformarsi nel più potente aggregato di potere che il mondo cattolico abbia mai avuto dopo la fine della Democrazia cristiana.
Il libro consente una riflessione accurata sul dominio cattolico nella vita pubblica italiana e anche sulla disinvoltura e sul cinismo con cui la fede si è combinata con la maniacale cura per il potere. La storia di Formigoni si sviluppò negli anni del protagonismo giovanile in cui alla aggregazione di tanta parte della gioventù studentesca attorno alla sinistra fa da contraltare il movimento fondato da don Giussani che propone uno stile di vita e una religiosità che hanno come termini di riferimento una sorta di monachesimo laico vissuto nelle case famiglia in cui i militanti vivono mettendo in solido i guadagni e dividendo i profitti. Avrebbe dovuto essere, al pari di tanti movimenti anti-conciliari, la testimonianza di una religiosità contrapposta alla società edonistica nella ricerca dei veri valori cristiani. I movimenti integralisti cattolici ormai affollano il cattolicesimo mondiale e in particolare quello italiano.
Con la fine della Dc si è assistito, invece, alla perdita di potere e di capacità di aggregazione di tanti movimenti sociali cattolici e al prevalere di altri che hanno dato un’impronta conservatrice al cattolicesimo quasi a correggere quelle spinte modernizzatrici e sociali che attorno al 68 sembravano prevalere nella chiesa di base. Formigoni di questo mondo conservatore e per tanti aspetti reazionario rappresenta probabilmente il prodotto più riuscito. Comunione e Liberazione e il suo movimento politico si contrappongono frontalmente alla sinistra e passo dopo passo conquistano il centro della scena. Se il cattolicesimo targato la Pira si era battuto contro la guerra, interpretando la stagione del dialogo negli anni in cui sembra prevalere l’idea della coesistenza pacifica, quello che fa capo al movimento di don Giussani sceglie di parteggiare in chiave anti-americana con l’Iraq di Saddam fino a trafficare con lui in nome dello scambio “Oil for Food”.
Ma Formigoni non sarebbe diventato il personaggio che è senza l’avvento di Silvio Berlusconi, il più formidabile federatore che la destra italiana abbia mai avuto. Lipparini ricorda la violenza dello scambio di insulti fra il leader di Comunione e Liberazione e la Lega trionfante che lo accusa persino per essere figlio di un reduce molto “cattivo” di Salò. Nella spartizione di potere fra le varie componenti federate da Berlusconi si assiste al miracolo della alleanza fra forze inizialmente ostili fra di loro ma soprattutto alla delega che il cavaliere dà ai signori della guerra che ha cercato di mettere assieme nella costruzione della sua invincibile armata anticomunista. Qui scatta la capacità di Formigoni e dei suoi di trasformare un movimento con una inziale connotazione pauperistica in un aggregato di potere che riesce negli anni ad amministrare miliardi e a porre radici nella regione Lombardia e nella sanità della più importante regione italiana. Il Formigoni berlusconizzato perde ogni motivazione religiosa per dedicarsi anima e corpo alla costruzione di un blocco economico ed elettorale in grado di consentirgli la pole position nella successione al Cavaliere.
Le inchieste di oggi rischiano di fermare questa corsa e l’immagine dell’uomo casto e probo che vive in povertà nella sua comune familiare lascia il posto al bon vivant che vive al di sopra dei suoi mezzi, e secondo le accuse con mezzi altrui, persino con una pacchiano esibizionismo nella cura del corpo e della vestizione. Quanto sia distante questa trasformazione dal cattolicesimo integralista degli inizi e dai turbamenti dello stesso potere cattolico magistralmente raccontati in “habemus papam” da Nanni Moretti è immediatamente visibile. C’è nella vicenda di Formigoni tutto il male oscuro del cattolicesimo italiano che non ha mai saputo diventare, in una sua parte non irrilevante, testimonianza di vita e di fede ma che ha sempre cercato nell’abbraccio con il potere le ragioni del suo protagonismo e delle sue relazioni con la materialità dell’esistenza.
Forse bisognerebbe partire da qui per riscrivere il capitolo della relazione fra cattolici e politica fuoriuscendo da antiche categorie che pure hanno avuto tanto corso nella stessa sinistra. Il dato di fatto di cui i cattolici italiani devono rispondere è questa attitudine al matrimonio con il potere che non ha mai guardato ai valori e allo sviluppo della persona umana. Oggi che alcune forze centriste vogliono guidare il paese bisognerà che qualcuno li spinga a una seria autocritica perchè se l’Italia è ridotta come è ridotta una responsabilità primaria spetta al mondo cattolico italiano e ai suoi vescovi, silenziosi e conniventi, infine vittimisti quando le cose stanno per cambiare.

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