I giornali hanno dato rilievo alla Campagna Liberala Domenica, promossa da Confesercenti con il sostegno della Conferenza Episcopale italiana, che vorrebbe impedire le aperture di domenica dei negozi che lo desiderano.
Quello che viene presentato come una battaglia di civiltà, o come la riappropriazione di diritti perduti, è però tecnicamente una richiesta di nuovi divieti e di imposizione a tutti della scelta di alcuni. La legge consente oggi ad ognuno di adottare liberamente gli orari che preferisce, fermo restando il diritto del lavoro.
La campagna si richiama alla necessità di salvare i più piccoli esercizi, messi in realtà in ginocchio dalla crisi e non dalle nuove regole (giova ricordare che gli ipermercati sono sempre stati autorizzati a tenere aperto di domenica anche prima delle regole oggi contestate).
Ma leggendo meglio le argomentazioni si può intravedere il vero spirito della campagna sostenuta dai vescovi: restituire tempo al riposo, alla famiglia, alla cura dello spirito. Rivivere la domenica come il giorno della festa e degli affetti, senza attività che potrebbero andare a discapito di figli e nipoti, o determinare la perdita delle gioie dalla vita in comunità.
Immagini idilliache. Ma che per nulla riguardano la legge che ha levato le limitazioni sugli orari. La quale, infatti, consente a chiunque di decidere per sé cosa fare. A differenza di quello che desiderano i promotori, portatori di intenzioni certamente positive, ma calate dall'alto obbligatorie per tutti.
Hai un laboratorio e ti va di passarci la domenica? Vuoi tenere aperto un locale il fine settimana e magari prenderti uno stop in un giorno feriale? Serve arrotondare la paga con un po’ di lavoro extra? Sono tante le ragioni o le possibili variabili per decidere di organizzare il proprio tempo in modo diverso. Ma secondo i promotori sono tutte da perseguire.
Senza dimenticare chi non si riconosce nella pausa di preghiera, o professa altri credi.
La domenica devi “riposare”: con suocera e nipoti, godendo della comunità. L'hanno deciso loro, è per il tuo bene.
E magari si potrebbe fissare per legge anche il menù del pranzo, si risparmierebbe qualche ulteriore preoccupazione.
Quello che viene presentato come una battaglia di civiltà, o come la riappropriazione di diritti perduti, è però tecnicamente una richiesta di nuovi divieti e di imposizione a tutti della scelta di alcuni. La legge consente oggi ad ognuno di adottare liberamente gli orari che preferisce, fermo restando il diritto del lavoro.
La campagna si richiama alla necessità di salvare i più piccoli esercizi, messi in realtà in ginocchio dalla crisi e non dalle nuove regole (giova ricordare che gli ipermercati sono sempre stati autorizzati a tenere aperto di domenica anche prima delle regole oggi contestate).
Ma leggendo meglio le argomentazioni si può intravedere il vero spirito della campagna sostenuta dai vescovi: restituire tempo al riposo, alla famiglia, alla cura dello spirito. Rivivere la domenica come il giorno della festa e degli affetti, senza attività che potrebbero andare a discapito di figli e nipoti, o determinare la perdita delle gioie dalla vita in comunità.
Immagini idilliache. Ma che per nulla riguardano la legge che ha levato le limitazioni sugli orari. La quale, infatti, consente a chiunque di decidere per sé cosa fare. A differenza di quello che desiderano i promotori, portatori di intenzioni certamente positive, ma calate dall'alto obbligatorie per tutti.
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1 commenti:
ciao
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